Screenwriter & copywriter: riflessione su una collaborazione necessaria

Nell’universo della scrittura specialistica destinata al marketing e alla pubblicità, esistono due profili diversi ma complementari, destinati a mio parere a crescere sempre più in ottica di collaborazione reciproca: il copywriter e lo screenwriter.

Il primo ha come scopo la persuasione attraverso l’uso accuratissimo del linguaggio. Sono suoi copy più o meno brevi, headline, CTA, spesso anche concept di campagna. Il copywriter è un autore a tutti gli effetti, il cui scalpello è la parola. Le doti che possiede: sensibilità, sintesi, ricchezza di linguaggio, curiosità, ironia, efficacia.

Anche lo screenwriter è un autore, ma il suo scopo è emozionare attraverso la narrazione, utilizza precise tecniche per tenere incollato lo spettatore alla storia, delinea con profondità personaggi e dialoghi. È sua prerogativa conoscere altrettanto bene il funzionamento della produzione: le sceneggiature sono anche documenti tecnici funzionali ai reparti di regia, scenografia, fotografia, costumi e naturalmente agli attori.

Nella comunicazione pubblicitaria contemporanea si assiste ad un’osmosi crescente fra i due mondi con una diffusione evidente, grazie all’evoluzione tecnologica, delle tecniche cinematografiche anche ad ambiti prima avulsi dal racconto destinato a essere filmato.

Le abilità del copy e dello screenwriter spesso convivono nei formati video realizzati per i social, grazie alle caratteristiche di fruizione di questi strumenti che impongono efficacia ed immediata comunicabilità.

I Reels di IG, pur nell’estrema semplicità e facilità di creazione, vanno infatti in questa direzione, a discapito del post costituito da foto statica e copy che rimane il protagonista dei piani editoriali, ma paga il prezzo di una certa classicità.

TikTok è creatore e diffusore prosperosissimo, attraverso trend e challenge, di contenuti video brevi e ingaggianti, dove il linguaggio è spontaneo e il racconto ridotto ai minimi termini. La sfida qui è attivare un dialogo emozionante, ma senza eccessivo pathos, sintetico ma capace di intrattenere, libero e potenzialmente infinito ma anche capace di concludersi da un momento all’altro per dare spazio – o evoluzione – a un nuovo trend.

Spesso allo sceneggiatore serve il colpo di genio del copywriter per chiudere una battuta o asciugare la scena di uno spot da 20 secondi, mentre il copywriter potrebbe apprendere cosa muove un’emozione nel profondo e regalare capacità di analisi alla sua innata sintesi.

Siamo legati alla narrazione da quando siamo bambini attraverso le favole, e questa tecnica rimane la principale e la più efficace per creare un legame profondo fra chi parla e chi ascolta. Si basa su tre pilastri: personaggi con intenzioni forti, ambientazione caratterizzata, un conflitto lacerante che va superato con l’azione.

C’è da domandarsi perché la narrazione cinematografica si stia diffondendo, seppur ridotta in pillole, in tutti i settori della comunicazione pubblicitaria e anche nella vita personale.

Nella Roma imperiale e, prima ancora, nella Grecia ellenistica, i periodi di crisi collettiva erano resi evidenti dal rifugiarsi nell’entertainment individuale (si pensava, si viveva, si scriveva dell’amore, dei banchetti e della natura per evadere dalla realtà) o collettivo attraverso i frequentissimi spettacoli teatrali e i giochi gladiatori. Si cercavano e offrivano emozioni per colmare il vuoto di una società insicura, deferita, di un individuo impaurito e solo. Tratti comuni, pur in condizioni estremamente diverse, all’individuo contemporaneo.

Ma la narrazione cinematografica applicata all’ambito pubblicitario può anche servire a uno scopo nobile: possiamo narrare per risolvere, non solo narrare per evadere.

Lo sceneggiatore e il copywriter nella loro collaborazione possono creare una scrittura magistrale e dalle doti contemporanee, una sintesi emozionante di racconto utile all’individuo e al brand di riferimento. E possono rendere la tecnica al servizio di uno scopo etico più alto, che il pubblico dimostra di apprezzare con interesse crescente. Nella collaborazione fra copywriter e screenwriter, quindi, la sintesi autoriale perfetta in una prospettiva di brand activism efficace e duratura.

Eccone alcuni esempi.

GILLETTE: the best man can get

Il confronto fra spot Gillette del 1989 e lo spot con lo stesso claim che la Gillette ha fatto uscire nel 2019.

Ecco un caso in cui il brand supera sé stesso. La retorica di copy&screenwriting del 1989 presentava l’uomo come un campione, padrone di sé stesso, della sua carriera come della sua donna. Una trasmissione di potere che avveniva per via genetica di padre in figlio, ampiamente diffusa al tempo.

Nel 2019 Gillette parte da quello stesso concept per farlo a pezzi e superarlo. Senza nascondere una tappa della propria storia, senza tentare di ripulirla o giustificarla, Gillette condanna apertamente, con tutta l’efficacia e la bellezza di un copy&screenwriting molto sentito, la propria posizione che ha così profondamente contribuito ad alimentare gli stereotipi sessuali a livello globale. “Non è questo il meglio di un uomo”, afferma il brand nel 2019 squarciando il velo sul tema e prendendo una posizione potenzialmente scomoda, ma in realtà vincente, per la propria immagine.

Scrittura e regia magistrali.

NIKE: For once, don’t do it

Nike è nota per le sue prese di posizione chiare e dirette su temi sociali. Non stupisce pertanto che sia voluta intervenire a supporto del movimento Black Lives Matter. È questo il caso però in cui per la prima volta ha affidato il suo messaggio al puro copywriting. Sfondo nero (in coerenza con il movimento), parole bianche (il visual del proprio brand), messaggio caratterizzato dall’antitesi fra i “Don’t” che blandisce come un colpo e il “Let’s all” finale che chiama all’azione.

DOVE: #ShowUs

Per quanto ci raccontiamo che le cose sono diverse, in realtà vedere immagini di donne fuori dallo stereotipo di bellezza a cui siamo abituate ci mette a disagio. Il video le mostra apertamente e le fa parlare ciascuna nella propria lingua, animandole dai manifesti statici in cui la società le ha poste, e mostrandole sicure, orgogliose. Ad ascoltarle non ci siamo solo noi, pubblico: il video ha inizio e fine con una bambina, destinataria del voice over con il quale Dove intende rompere gli stereotipi a partire dall’educazione delle nuove generazioni. Non geniale: necessario.

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